Allenare coraggio e determinazione, bellezza e armonia, volontà, rispetto e gentilezza, oltre a intuizione, capacità decisionale, calma interiore e molto altro (come lo stato di mushin): con il karate si può.
Questi valori universali possono essere compresi, oltre che capiti cognitivamente, se vengono sperimentati, e con il tempo possono ancorarsi nelle coscienze dei giovani, diventando patrimonio personale…
Questo in teoria.
In pratica è bene che l’insegnante conosca i meccanismi psico-tecnici che fanno vivere in modo consapevole le esperienze attraverso le quali viene trasmesso il valore educativo che si vuole approfondire.
Prendiamo ad esempio il coraggio.
In kumitè si devono spesso affrontare momenti pericolosi, reclutando dosi di coraggio per farlo, e qualcuno fa fatica. Ma è necessario spiegare all’allievo che il timore è naturale, e che avere coraggio non significa non aver paura, bensì affrontare consapevolmente qualcosa di cui si ha paura (altrimenti è incoscienza).
La paura non è nostra nemica, ma nostra alleata. Un dono della Natura. Essa è generata dall’istinto di sopravvivenza, senza il quale non esisterebbero reazioni veloci e tempestive a salvaguardia della nostra incolumità. Questi automatismi difensivi spontanei si attivano bypassando il tempo che serve a organizzare un’evasione consapevole dal pericolo.
Ad esempio: cadendo a terra, cerchiamo spontaneamente di afferrare un sostegno, e se cadiamo portiamo le braccia a protezione della testa; se stiamo ricevendo una sberla giriamo la testa d’istinto; e così via…
Nessuno ci ha insegnato queste azioni, semplicemente le abbiamo dentro, ereditate da Madre Natura, e rinforzate dall’esperienza dei primi giorni, mesi e anni di esistenza.
Nessun allievo si deve vergognare di avere paura, altrimenti lo dovremmo fare tutti. Ma per superarla si richiede uno sforzo, prima di accettazione, poi di concentrazione verso un obiettivo superiore: “sopravvivere”.
C’è quindi un legame profondo fra paura, coraggio e tecniche di combattimento. La paura, come alleata, ci fa sentire il pericolo e reagire istantaneamente; il coraggio ci fa affrontare il pericolo con azioni tecniche organizzate; il kumitè utilizza la tempestività di reazione, per automatizzare risposte complesse diverse dalla semplice fuga o protezione. Il fine è di portare a casa un risultato vincente al campionato, o sconfiggere l’avversario in un ideale duello mortale se aderiamo alla cultura del Bushido, come fa il karate tradizionale.
Un insegnante informato e consapevole trasmette fiducia e convinzione e ragguaglia il proprio allievo/atleta su ciò che sta assimilando al di là della tecnica: sublimare la paura facendo proprio, o almeno comprendendo (prendendo con sé), il valore del coraggio.
Coloro che seguono questo protocollo si trovano sulla Via del karate-Do, perché stanno esplorando i propri limiti e testando le proprie potenzialità.
Offro un semplice esempio dedicato agli insegnanti.
Immaginiamo due atleti di fronte in guardia libera normale, uchi attacca, uke risponde.
– uchi attacca kisamitsuki jodan, uke risponde con gyakutsuki ciudan in contemporanea con tecnica d’incontro;
(attenzione agli accoppiamenti, che siano equilibrati – do per scontati i corretti parametri di distanza – il rischio è ricevere un kisami al volto)
–se uke tende a girare il viso con una velata ombra di timore l’insegnante interviene, fornendo obiettivi che portino l’attenzione su altro:
1) motivare il discepolo chiarendo il rapporto fra coraggio, paura e kumitè, trasmettergli fiducia e convinzione, rassicurarlo sui limiti attuali, proporgli una visione del futuro;
2) spostare l’attenzione sul tempo di reazione lavorando sullo spazio vitale;
3) totale concentrazione sul braccio di risposta, visualizzandolo nei particolari, quasi a sentirlo formicolare, e partire d’istinto.
Carlo Pedrazzini