Nell’articolo precedente spiegavo che il karatè-educazione è una prospettiva, non un nuovo stile, semmai un modo di fare che sfrutta il karatè come strumento educativo. Non importa se pratico Shotokan o Shito o Wado, piuttosto che il cosiddetto “karatè moderno”: la differenza la fa l’uomo, il suo metodo, i suoi obiettivi.
Ne deriva che la figura centrale deputata a portare avanti il karatè- educazione è quella del Maestro. Titolo, o attributo, molto discusso da sempre. Già hai miei tempi era sufficiente seguire un breve corso per ricevere l’attestato: il primo passaggio era la qualifica di istruttore, a seguire quella di maestro. Nell’arco di pochi anni avevi raggiunto il traguardo.
Ma chi è un Maestro? Come si identifica la sua figura? E’ solo il raggiungimento di un titolo accademico? In realtà no: questa figura non si può identificare con un diploma inchiodato alla parete.
Il titolo di Maestro compete a un essere umano di conoscenza, che si dedica a costruire altri esseri umani.
Nell’accezione orientale del termine vuol dire “Colui che insegna la Via” oppure “Colui che porta dal buio alla luce” (gu-ru, shi-fu, sen-sei). Quindi non solo un mero trasmettitore di tecnica, bensì un Maestro di Vita.
Vorrei sottolineare quanto la bravura tecnica non sia sufficiente per essere considerati Maestri. Come non è sufficiente aver raggiunto livelli culturali elevati.
Persone dotate delle più rinomate conoscenze accademiche mostrano a volte comportamenti molto discutibili. Chi invece riceve anche una formazione spirituale e morale saprà ben destreggiarsi nella gimcana della vita, e potenzialmente diventare un mentore.
Parallelamente, karateka molto bravi potrebbero insegnare solo per motivi economici, o per assecondare il proprio carattere esibizionista o ego-riferito: avremo in tal caso insegnanti poco attenti e poco interessati al bene degli allievi…
Difficile diventare maestri senza praticare per anni a buon livello, ed esercitando l’arte dell’insegnamento per lustri. In ogni caso, non c’è un traguardo da raggiungere: la maestria arriva poco per volta, di errore in errore, sempre nella consapevolezza di aver molto da imparare, sempre nell’umile e sincera convinzione di non essere affatto un maestro per titolo accademico. Ogni insegnante dovrebbe fare un esame di coscienza, sincero, e chiedersi: “Chi sono veramente? Un trasmettitore di tecnica, o un costruttore di esseri umani?” Soprattutto quando si è ancora giovani, e magari già molto bravi ma ancora poco esperti di dinamiche relazionali, è importante mantenere uno sguardo auto-consapevole sulla propria evoluzione personale. E chiedersi: “Cosa voglio fare da grande?”.
Carlo Pedrazzini